ISTITUTO INADEGUATO RISALENTE AL CODICE ROCCO, VA RIFORMATO
In Italia esistono ancora le “Case di Lavoro”, istituite dal Codice Rocco con l’intento di favorire, attraverso il lavoro, il reinserimento sociale di persone che hanno commesso reati ed espiato una pena, ma che sono ritenute ancora pericolose per la società in quanto delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Le strutture tuttora attive sono quattro, una si trova a Vasto.
Con un’interrogazione a risposta orale presentata al Ministro della Giustizia, chiedo a Nordio come intenda attivarsi e quali iniziative intenda assumere per procedere sollecitamente ad una riforma di questo istituto totalmente inadeguato, per sostituirlo con altre forme che consentano il reinserimento di queste persone nella società, come ad esempio comunità di accoglienza dedicate oppure misure di sicurezza applicate nella libertà vigilata, eseguite nei territori di residenza e non in istituti di pena, spesso lontani dal luogo dove queste persone hanno affetti o radici.
La Casa di lavoro dovrebbe offrire possibilità di rieducazione al contatto con la realtà esterna, indirizzando gli internati ad esperienze più significative e dignitose. Gli internati sono, il più delle volte, soggetti con un passato di delinquenza, che per motivi di salute mentale o di provenienza sono sempre stati ai margini della società; con l’ordinamento penitenziario del 1975, il lavoro, insieme alla formazione, viene considerato un elemento essenziale per la rieducazione del condannato e l’organizzazione e i metodi del lavoro all’interno degli istituti devono riflettere quelli del lavoro nella società libera. Al contrario, a considerare la situazione attuale nelle quattro Case Lavoro presenti in Italia, sembra che nel nostro Paese si possa finire di scontare una pena e diventare ergastolani.
La maggior parte delle case di lavoro è collocata dentro istituti penitenziari o inex istituti psichiatrici. La casa ha le celle, le celle hanno le sbarre e il lavoro, quando c’è, si limita a quello che garantisce il funzionamento della struttura; con l’assegnazione ad una casa di lavoro, i periodi di internamento successivi al carcere diventano mesi e anni di parcheggio e di ozio, senza occupazione lavorativa, e la speranza di riprendere una vita normale di contatto con la realtà sociale è quasi nulla, soprattutto per chi non ha famiglia o è stato disconosciuto dai familiari, per chi non ha casa o, per gli stranieri, che spesso non riescono nemmeno a farsi espellere per tornare al loro paese. Per tutti costoro la sola speranza è l’ accoglienza in qualche comunità che li accetti gratuitamente.
A popolare la casa di lavoro è una folla di disperati, in una situazione che non permette nemmeno a chi è sano di mente di rimanere tale molto a lungo. Ci sono persone provenienti da Ospedali Psichiatrici Giudiziari, tossicodipendenti, malati di mente, infermi con patologie praticamente incurabili in carcere, persone senza fissa dimora, stranieri senza documenti; risulta così che le case di lavoro, più che luoghi con cui accompagnare un ex detenuto verso il ritorno alla quotidianità, diventano un limbo nel quale si raccoglie la marginalità.
Rispetto a tutto questo non si può rimanere indifferenti ed è doveroso dare una risposta sollecita ed efficace a questa sfida di civiltà. Una democrazia fondata sui principi del rispetto della dignità di ogni persona e della solidarietà verso i più deboli, sanciti nella nostra Costituzione repubblicana, non può consentire che venga ancora mantenuto in vita un istituto che altro non è che un ulteriore carcere per chi alle spalle ne ha già tanto.