Ho presentato un’interrogazione parlamentare ai ministri delle Infrastrutture, del Lavoro e per la Protezione civile, per sapere come intendano attivarsi per quanto di competenza:

1) per contrastare il fenomeno degli incidenti sul lavoro;

2) per avere la certezza dell’applicazione di un manuale di manutenzione costantemente
aggiornato;

3) per instaurare una collaborazione con le regioni nella gestione degli invasi, in caso di interventi urgenti;

4) perché la struttura ministeriale responsabile delle dighe attui la vigilanza indispensabile per
conoscere lo stato strutturale degli invasi, individuando quelle che necessitano interventi,
con particolare attenzione a quelle prioritarie per rilevanti bacini di utenza in aree sismiche
e ad elevato rischio idrogeologico;

5) per avere un riscontro sull’utilizzo delle risorse economiche già concesse per le infrastrutture in questione e quelle ancora necessarie e programmarne la loro destinazione ed assegnazione;

6) perché si pervenga, in tempi rapidi, al completamento della documentazione, che già la normativa aveva previsto dal 2014.

Come noto, l’esplosione avvenuta il 9 aprile scorso a Bologna, durante i lavori di messa in opera della centrale idroelettrica di Bargi gestita da Enel Green Power sul lago di Suviana, è costata la vita a sette operai e altri sono rimasti feriti, tutti appartenenti a ditte esterne all’ Enel.
Sono numerose le ipotesi e gli aspetti da chiarire sulle cause del disastro e gli esperti che indagheranno con la Procura faranno luce sulla vicenda, ma è certo che, in maniera drammatica, si ripropongono due temi: la sicurezza nei luoghi di lavoro e la conoscenza della
situazione strutturale degli invasi.
Per quanto riguarda il tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, se si considera che gli incidenti mortali avvenuti in vari cantieri in Italia – e che hanno interessato soprattutto la logistica, l’edilizia e i lavori pubblici – hanno riguardato per lo più lavoratori appartenenti a ditte in appalto, viene il dubbio che il frazionamento delle opere, unito alla pressione dovuta al rispetto di tempi e costi, contribuisca in maniera significativa ad operare in senso negativo per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

E’ quindi necessario che l’azienda che affida il lavoro si faccia garante della sicurezza dell’impianto e di chi vi lavora, ed è urgente adottare una politica di prevenzione che assicuri l’applicazione delle norme e miri a radicare una cultura della sicurezza sul posto di lavoro, anche prioritaria rispetto alla realtà produttiva.
Per quanto riguarda poi la situazione degli invasi, fondamentale è il monitoraggio durante l’intera vita delle infrastrutture, soggette ad un’evoluzione delle condizioni di stabilità (in particolar modo per i mutati equilibri climatici) che possono comportare il verificarsi di eventi estremi, rispetto ai quali i sistemi infrastrutturali potrebbero non essere stati dimensionati.

Purtroppo in Italia non esiste ancora un sistema ricognitivo degli invasi, spesso gestiti tramite rapporti di concessione e il cui stato a volte non è noto neppure agli stessi concessionari.

L’idroelettrico è la chiave della transizione energetica perché rappresenta la fonte di energia pulita per eccellenza e non si può consentire che la carenza manutentiva dei bacini provochiincidenti che, oltre all’inaccettabile perdita di vite umane, comportano danni per centinaia di milioni di euro, la chiusura della diga e analisi ingegneristiche complesse di lunga durata.

Il DPCM 08/07/2014 stabilisce che, per le “grandi dighe”, la Prefettura competente approvi il documento di protezione civile, elaborato dal Mit con il supporto della Regione e, sulla scorta di tale documento, venga redatto e approvato dalla Protezione civile regionale il Piano di Emergenza.
In Abruzzo, regione ad alta fragilità sismica, sono attive 14 dighe nazionali, 53 regionali e 2.364 invasi ex provinciali. Tra questi è presente il secondo bacino più grande d’Europa, l’invaso di Campotosto, in provincia de L’Aquila, che si trova su una faglia parzialmente riattivata dalle scosse telluriche verificatesi in Abruzzo.

Nel 2017, su mia sollecitazione in qualità di presidente della Regione, è iniziata l’attività di redazione della documentazione e risulta che le “grandi dighe” sono dotate del Documento di Protezione Civile, ma ad oggi, dopo ben sei anni, questo manca ancora per 4 dighe regionali e non sono ancora disponibili tutti i Piani di Emergenza.

E’ urgente lavorare a una programmazione pubblico-privata, grazie alla quale anche il gestore della diga si faccia carico di responsabilità economiche precisamente identificate per la sua sicurezza.

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