Le repentine torsioni che negli ultimi tempi caratterizzano il quadro politico non possono essere affrontate con un approccio incerto e cauteloso: occorrono coraggio, motivazione, fertilità di idee per uscire da noi stessi e barattare le certezze che ci vincolano con le incognite in grado di farci agganciare con generosità il bisogno di rappresentanza di una parte sempre più ampia del Paese che oggi si tiene fuori dalla politica.

Solo superando i condizionamenti che dicono tanto del nostro debole essere di oggi, potremo ritrovare noi stessi, ovvero le ragioni e le ambizioni per cui siamo nati. In questo senso credo che sia più agevole vincere il dilemma se scegliere la strada del partito identità, o quella del partito modernizzazione. A ben vedere in quest’ultima è facile rinvenire anche la prima: affrettare l’avvento di tempi nuovi è la finalità che ha fatto mettere in marcia nel cuore del Novecento le tradizioni culturali riformiste che sono all’origine del Partito Democratico.

Le contingenze della quotidianità politica hanno appannato questa dimensione, rendendo meno leggibile in noi la fisionomia di chi è disposto a sanguinare pur di conquistare nuovi spazi di libertà, di espressione e di dignità per le persone, a partire da quelle che stanno pagando il prezzo più alto alla lunga stagione della crisi delle economie occidentali. Nuovi soggetti politici hanno occupato lo spazio che abbiamo lasciato scoperto e la forza della loro affermazione ha suscitato in noi soprattutto la reazione a quella che abbiamo avvertito come un’inconcepibile aggressione.

Il loro successo, invece, avrebbe dovuto insegnarci molto sui limiti del nostro procedere nella tempesta. L’imprevista occasione che ha favorito la formazione di una nuova maggioranza parlamentare può essere concepita come una scossa salutare alle nostre pretese per riaprire gli occhi sulla realtà.

Lo sguardo nuovo di cui abbiamo bisogno comporta in primo luogo la capacità di interloquire con gli altri, riscoprendo una cultura della coalizione che avevamo smarrito negli ultimi anni in cui a volte abbiamo confuso la vocazione maggioritaria con la pretesa della rappresentanza esclusiva.

Evidentemente, invece, c’è bisogno di farsi carico del portato progettuale e valoriale degli altri, in cui però non vedrei un limite ma piuttosto la possibilità per superarne uno nostro e per animare nel confronto una cultura in grado di affrontare temi nuovi e di dire parole nuove.

Pensiamo all’Europa. Noi siamo europeisti, è uno dei tratti più forti che possano esserci riconosciuti. Ma che significa oggi essere europei? Soprattutto è possibile dimostrare intelligenza e coraggio per andare molto oltre le attuali tenui prerogative della cittadinanza europea? Io credo che non basti più il solo diritto al libero movimento: è il tempo di pensare strumenti idonei a rendere possibili nuovi diritti e nuovi doveri comuni a tutti i cittadini europei. Sarà questa la migliore risposta in grado di togliere terreno alle lusinghe del sovranismo.

Ancora ritengo che si possa fare molto per ripensare gli spazi e i tempi della vita delle persone nelle città. Le attuali tecnologie, e ancora di più le nuove che fanno già capolino, parlano sempre di più di un superamento del problema delle distanze tra la città, i centri minori e la campagna. Tutto si annuncia più facilmente e comodamente raggiungibile, costringendoci a ripensare radicalmente all’organizzazione dei servizi e anche ai tempi del lavoro, dello studio, delle relazioni, per favorire realmente la realizzazione di progetti di vita personali, non più costretti da cogenti vincoli spaziali e temporali.

Non minore è poi la questione del recupero della rappresentanza: abbiamo l’opportunità di riflettere sui modi per restituire voce a coloro che si sono allontanati, favorendo anche una fecondità di concepimento istituzionale che ci porti a trovare regole per tener conto della scelta di quanti non votano: ad esempio riducendo il numero dei seggi da assegnare proporzionalmente al numero di quanti hanno effettivamente votato e provando a dare voce anche a chi non si è recato alle urne.

Direi che è questo il vero campo largo che ci si apre davanti, se sapremo denudarci di armature che ci fanno solo più pesanti e, paradossalmente, più inermi.

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